Sant’Eligio

  Alcuni cenni biografici

 Nacque nel 590 a Chapetelat nel Limosino, d’origine gallo-romana. Fu educato, nella religione cristiana e al lavoro dai suoi genitori Euchero e Terrigia; dal vescovo di Limoges, S. Ferreolo, alla vita di fede e da un celebre orefice del tempo, Abbone, direttore della zecca reale.

In questo genere d’arte diventa celebre S. Eligio. Restano dei pezzi con la sua firma ad immortalarne le capacità. In un agile biografia inedita, conservata nell’archivio della Confraternita, Mons. Augusto Moglioni scrive: “fra le opere d’arte di S. Eligio: la croce di S. Dionigi, alta circa un metro e sessantacinque, incantevole per la sua lavorazione e la preziosità; un’altra per la chiesa di S. Vittore; una ancora per la chiesa di Notre-Dame”.

A lui si attribuisce di aver fondato, ideato e lanciato il famoso laboratorio di Limoges, per le smaltature tanto pregevoli e ricercate.

 Fu invitato a Parigi all’età di trent’anni, entrando in relazione con Bobone, tesoriere del re Clotario II, morto nel 629, ma fu sotto il figlio di questo re merovingio, Dagoberto I, morto nel 639, che si pone l’episodio che ha reso celebre le virtù d’uomo e d’artista dell’orefice-fabbro Eligio: con l’oro consegnatogli per un trono (altri dicono una sella), egli riuscì a farne due: “da ciò, gli disse il re, si potrà prendere su di voi sicurezza per cose di maggiore importanza”

Fu nominato direttore della zecca di Marsiglia. Ma continuò ad esercitare il mestiere di orafo con cesellature di grande importanza, come anche di lavoratore incomparabile del ferro, con urne preziose per i santi del tempo.

Restò nel palazzo reale fino alla morte del re Dagoberto I.

 Ma intanto si affinava, nelle opere di carità e di pietà, la sua vocazione religiosa: si distinse come uomo di pace nel condurre a nome del re rapporti diplomatici col duca di Bretagna, ma soprattutto nella liberazione degli schiavi e nella fondazione di monasteri. A questo proposito narra il Santo Audoeno, suo contemporaneo e conterraneo, che un giorno disse Eligio al suddetto re: “Mio principe, datemi la terra di Solignac, affinchè vi faccia una scala per cui meritar possiamo di ascendere al cielo, voi e io”. La terra venne concessa e la scala edificata da Eligio fu un immenso monastero, in cui domiciliavano e menavano santa vita centocinquanta monaci. Questo monastero di Solignac fu eretto nel 632.

Nel 633 Eligio fondò un monastero femminile a Parigi, che affidò a Santa Aurea.

Fu eletto vescovo di Noyon e Tournay – successore di S. Acario – nel 641 insieme a Sant’ Audoeno, vescovo di Rouen, che diventò suo biografo.

La sua vita di Pastore è riassunta in costruzioni di numerosi monasteri (fra cui quello di Dunn, che diventò la culla della città di Dunnkerque – chiesa di Dunn), e in viaggi di inarrestabile evangelizzazione: nelle Fiandre (in Belgio), nelle vallate dell’Escaut e della Lys e presso i popoli delle Isole Frisonie, a nord dell’Olanda.

S. Eligio morì nel 660 dopo Cristo. Forse il primo dicembre.

La festa liturgica, che sul calendario resta ancora fissata al primo dicembre, viene invece celebrata tradizionalmente a Roma il 25 giugno o l’ultima domenica di giugno.

Ai cenni storici che fanno da introduzione agli Statuti del 1847 (pag. 15), conservati nel nostro archivio si aggiunge: “da tempo antichissimo viene solennizzato, specialmente a Roma dalla nostra Confraternita e da altre ancora, nel giorno 25 giugno, perché in esso nell’anno dopo la sua morte fu ritrovato il corpo di esso santo vescovo, in uno stato di tanta meravigliosa freschezza che sembrava piuttosto di un uomo vivo che di un uomo morto”.

La Bibliotheca Sanctorum della Pont. Università Lateranense porta alla voce di “Eligio” queste indicazioni iconografiche:

 “Tra le rappresentazioni più antiche del santo sono quelle dei piombi istoriati rinvenuti nella Senna in prossimità dell’antico Priorato a lui intitolato. In esse si possono distinguere le tre principali versioni iconografiche ispirate alle relative fonti agiografiche. Il santo appare, infatti, rappresentato nelle vesti o di maniscalco o di orafo o di vescovo. Moltissime raffigurazioni di Eligio come maniscalco o orafo saranno a lui dedicate dai rappresentanti di queste arti che si pongono sotto il suo patronato.

Moltissime sono le rafficurazioni di Eligio nelle varie versioni, nei periodi medioevale e rinascimentale (soprattutto nelle vetrate delle cattedrali e delle chiese in varie nazioni d’Europa) ove la sua figura è spesso accompagnata da scene di particolare valore simbolico o da episodi miracolosi, come quella in cui afferra per il naso con le tenaglie il demonio presentantoglisi travestito da donna o mentre risuscita un morto… Altri dipinti lo raffigurano prostato ai piedi della Vergine o davanti al re Clotario…” (opere pittoriche che si trovano nella sacrestia della chiesa a lui dedicata).

Terminiamo queste prime annotazioni con i dati somatici e ascetici più verosimili di S. Eligio come ce li presenta colui che l’ha conosciuto e gli è stato amico, il vescovo Sant’ Audoeno:

“Risplendevano in lui, egli scrive, tutte le virtù. Era un esemplare di carità, di umiltà, di mansuetudine; tranquillo di animo, sereno di volto; pacifico di sentimenti e saggio in tutta la sua condotta; mostrava le sue virtù più nei fatti che nelle parole e niente preferiva all’amore di Gesù Cristo”.

Della sua morte cosi descrive Mons. Moglioni gli ultimi istanti:

“sentendosi vicino al grande momento così esortò i suoi collaboratori: vivete uniti come fratelli, amatevi tra voi. Praticate la carità”

La Reliquia di S. Eligio

a Roma

 Del suo Santo Patrono, l’Arciconfraternita di S. Eligio dei Ferrari conserva una preziosa reliquia che è, anche oggi, oggetto di fervida devozione.

Una supplica per ottenere tale insigne reliquia, scritta in idioma italico, fu portata a Noyon da Daniele Pola, romano, firmata da Costantino Frombella, governatore.

Il 16 settembre 1619, a Noyon, i notai, i canonici con il loro decano, uomini illustri e notabili si recarono processionalmente dinnanzi l’armadio grande presso l’altar maggiore. Il decano diede l’ordine di aprire l’armadio. Ne estraggono un osso avvolto in panno serico antichissimo, circondato da una sottile lamina plumbea, su cui si vedevano incise le parole: “de brachio Sancti Eligii Episcopi”. Ne fu asportata una parte lunga quattro dita, che fu riposta in panno di seta rossa e deposta in un vasetto di stagno, per consegnarla poi al Maestro Francesco Le Clerc, cappellano e notaio giurato del Capitolo, che doveva portarla ai Fratelli della Confraternita di S. Eligio in Roma.

Grandi furono i festeggiamenti che la Confraternita di S. Eligio di Roma fece in occasione dell’accoglienza della venerata reliquia che ancora oggi vengono ricordati per l’inusuale partecipazione di fedeli. Qualche stralcio di cronaca rende l’idea:

 “Venuto poi il giorno di tal solennità, che fu a’ 24 giugno 1620, giorno di S. Giovanni Battista. 

Li dignitari hebbero cura di far polire et appreparare le strade dove doveva passare. Principiò dunque la processione dalla chiesa di S. Giuseppe de’ Falegnami accompagnata da un infinito numero di diverse religioni, li quali tenevansi tutti candele accese in mano.” La processione venne “intramezzata poi da cinque cori di musica delle prime voci di Roma che recavano graziosa melodia. La processione non era ancor finita d’uscire dalla chiesa di S. Giuseppe che di già era entrata nella Chiesa di S. Eligio, benché facesse una lunghissima girata di strada, che fu passare la salita di Marforio, alla Piazza di S. Marco, avanti la chiesa del Gesù, sotto il Campidoglio, Tor de’ Specchi, piazza Montanara e finalmente a S. Eligio, non solo fu salutata da trombe e tamburi ma anche da un infinito numero di mortaretti e fuochi che rendevano allegrezza”

Ancora oggi si tramanda l’usanza del rinfresco per gli intervenuti dopo la Santa Messa Solenne, sempre dalle cronache di quel memorabile giorno:

“ ai 24 giugno 1620, fu presentata alla colazione: sei libbre e mezzo di salame, 33 libbre di agnello, roba del pasticcere, de barili di vino, quindici decine di pane e brigocole e verdura e finicchio….”

 Il 12 febbraio 1756 dal Cardinal Vicario fu fatta la ricognizione della Reliquia venuta da Noyon nel 1619: “l’estraemmo e la ponemmo in un brachio d’argento cum basi ex aere deaurato”, in un braccio d’argento con la base di bronzo dorato.

Giovanni Augustoni, Vescovo Porfiriense, Prefetto del Sacrario apostolico, parla di parte di ossa di S. Eligio, vescovo, confessore, riconosciuta e riposta “in theca ex aurichalco argento obducto, ovalis figurae unico crystallo munitae”, in una teca d’ottone argentato di forma ovale munita di un unico cristallo.

L’autentica è in data 15 giugno 1832.