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Ecco l’Anno Santo del duemiIa Il mio giubileo s’è aperto alle soglie della basilica d’oro di S. Maria Maggiore. Era il primo giorno dell’anno duemila, memoria efesina della Maternità Divina, giornata consacrata alla pace.Una ventata di gioia, scortata dagli applausi e dagli incensi, dal possente coro e dalle trombe e dagli ottoni che hanno riempito il tempio come un’invasione d’angeli, ha accolto il vecchio Pontefice quando in ginocchio, tra raffiche d’accecanti flash, ha sostato in preghiera per la pace e la purificazione universale.Fu come se l’umanità si fosse destata da una greve, interminabile ipnosi. Nell’esiguo corteo papale aveva premio la mia impaziente attesa. Ma nella notte ultima del vecchio millennio e prima del nuovo, tra le strade e le piazze della città santificatrice, colma di concerti e di petardi, impazzì la ronda dei vandali e devastazioni e profanazioni rimasero retaggio della loro notte brava.Mai spento sussulto dell’eterna lotta tra la luce e l’incombente tenebra. Ma il primo giubileo dell’anno fu quello festoso dei bambini.Piazza S. Pietro e Sala Nervi diventarono il simbolo della nuova innocenza del mondo.I bambini più belli con i costumi più belli le danze più belle le movenze più belle le canzoni più belle le parole più belle le preghiere più belle sotto il limpido cielo più bello, fissarono lo scenario più degno della millenaria contemplazione.Ma ci sarà qualcosa, ci sarà Qualcuno che riesce a bloccare, prima che inesorabile scenda, il sipario?Roma, Epifania del 2000 |
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All’ombra di un abete Corso. Camminato. Mangiato. Bevuto. Riso. Divertito. Risanato. Ora riposo sotto questo giovane abete ombroso, che disegna nel tenero azzurro le sue croci di verde oscuro. E nel dormiveglia rifletto alla sua dolcissima sorte, che non è altra, forse, che quella d’aver servito, un giorno e per l’eternità, ai sogni riposanti d’un figlio del Dio vivo. Dolaces, 25 agosto 1992 |
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Altrimenti che fede è? O Krisna o Budda o Maometto o Geova dai tratti umani apocalittici: aspetti di quel ‘qualcosa’ che mi tacita all’assalto perenne della mia inconsistenza. lo credo in Gesù. Ho creduto nella superumanità che gli viene dalla con-divinità: e mi si presenta come nessuno Altruista, Maestro, Compagno di viaggio, Specchio, Rifugio, Guaritore, Consolatore, Attesa, Premio. Il mio ‘io’ si disintegra per vivere di Lui. Di Lui mi fido, in Lui confido, a Lui mi affido, senza riserve, senza ripensamenti, senza rimpianti. Con le sillabe ritmate del sangue ho scolpite nel cuore strabilianti parole che nulla hanno di umano: “Non credi che chi vede me, vede anche il Padre? “Tutto quello che ha il Padre, è mio. “Ho dato ad essi la stessa gloria, “che tu avevi dato a me, “perché essi siano tutt’uno con noi; “io unito a loro, “tu unito a me, “casi potranno essere perfetti nell’unità, “e vedere la mia gloria “e la loro gioia sarà piena”. È questo il l’orifiamma che mi precede. Il terminaI del mio appuntamento terreno. La sfida della mia vittoria. Seguo con interesse gli altri volti che guardano in alto. Ma Gesù, la sua parola dai riferimenti impossibili, le sue promesse che nessuna speranza misura, sono l’atmosfera irresistibile dentro cui il mio vivere appartiene già al divino. Roma, 4 maggio 1994 |
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Chiesetta alpina (Don Guerrino Bulfon) Sulle pagine aperte, come sul libro dell’arcobaleno umano, tutti i colori del cuore sono segnati da penne e calligrafie multiformi, intinte all’unico pozzo dell’imprevedibile vita. È la felicità della verde natura in questo suo ammanto di silenzi e d’aure refrigeranti. È il sogno delle cose attese o perdute, che chiedono alla preghiera qualche miracoloso intervento. È il segno di spenti dolori, che urgono leniti tra queste pareti di legno aromatico, che la Madonnina lieve addolcisce. Qui il cuore del buon don Guerrino, nel cinquantesimo di sacerdozio, realizzò il suo sogno di un spirituale ristoro, e palpita ancora come una fiammella, che mai ha perduto la sua luce di speranza Zoncolan, 21 agosto 1998 |
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Suonate a festa tutte le campane Gli scarni vestiti della morte si sfaldano al chiaro della mia fede: nuda luminosità ella mi appare come una finestra sull’infinito che invoco. Partirò come chi saluta un amico, amato e sofferto amico, fratello di sangue e d’ideale. Senza rancore partirò, anche se l’amico mi ha spesso tradito inconsapevole, e pianto versammo insieme sulle ferite deluse. Suonate a festa tutte le campane. Limiti azzurri non saranno alle mie ore di pena. Vorrò che i trilli degli scampanii come processioni di foglie immacolate m’accompagnino alla sagra della mia pace e fiori bianchi sulla tomba cadano, lacrime di rimpianto, vissuta espiazione. Dalla carne l’angelo che emigra finalmente sarà l’io che abbisogno: oh, suonatemi a festa tutte le campane… (ripresa dal mio volume “A ritroso” – “Una vita una poesia”, del lontano 1947) |
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Natale Non per me ghirlande d’angeli che intrecciano voli e canti sulla capanna aperta ai cieli;non vapori caldi di pastori che trasognati scoprono un bambino su cui si disegna umile e misteriosa la verità dell’uomo;non strascichi di magi che riversano inconsapevoli e profetici i tesori della riconoscenza dei secoli;e a tutti nell’attimo sacro e nella perennità del cammino la beata Madre del Dono supremo del Padre, offre il Bambino, miracolo d’amore inestinguibile, di perdono inestancabile, di conforto immutabile, di letizia ineguagliabile, l’attesa imponderabile.A me basta un semplice altare per diventare “madre” dello stesso Bambino: concepito dallo Spirito che l’incinse della sua ombra e non rifiuta il tremore della mia epiclesi; partorito ogni giorno dalla mia parola; deposto nella culla bianca d’un’Ostia; umile più d’allora, teribilmente silenzioso, e sempre disponibile per arricchirmi d’amore e perdono, di letizia o di attesa negli esigenti abissi del cuore.Ad uno ad uno io dispenso il Pane che da me è nato Dio, e mai saprò quali prodigi egli semina in loro, fra le incoerenze e le speranze, tante!, del nostro faticoso cammino.Mons. Elio Venier 1991 |